Esame Hunter 001 - Gruppo n° 1 - Prima Prova

«Parlato Mei» - Pensato Mei

Si trattava della stanza più grande in cui Mei avesse messo piede, una reggia bianchissima e illuminata a giorno la cui vista stupì e confuse la ragazza.

Per sua fortuna, però, dopo qualche minuto riuscì ad intravedere Royce, figura provvidenziale che l'aiutò a superare il senso di strabiamento. Mei si sarebbe avvicinata a lui, giusto in tempo per sentire l'annuncio del nuovo esaminatore.

«Che?!? Ma ci è o ci fa??»

Commentò, la sua protesta che si levò al di sopra del muro di borbottii emessi dagli altri candidati.

Poi, ebbe un'intuizione. Di quelle che non le piacevano affatto.

Stanza grande, tante persone, esaminatore irragionevole, lamentele.

Royce voleva avanzare, avvicinarsi all'esaminatore e provare a convincerlo a lasciarli proseguire; Mei, però, era di diverso avviso:

«Frena, frena!»

Avrebbe detto a lui e a eventuali altri, abbassando la voce.

«Io dico di telare, che secondo me qui scoppia un casino...»

Poi, con un rapido cenno del volto, avrebbe indicato il lato della sala più vicino a lei e agli altri interlocutori.

Lo stesso posto verso cui, meno di un secondo dopo, avrebbe cercato di dirigersi, al fine di mettersi in disparte e osservare il corso degli eventi.

Era un ragionamento molto semplice: Mei avrebbe scommesso dieci milioni di Jeny che non aveva sul fatto che qualcuno dei candidati avrebbe preso quella notizia in maniera proprio terribile, ma proprio male.

Era sicura che quel qualcuno avrebbe provato ad attaccare l'esaminatore, facendo scoppiare il casino da lei vocalizzato. E, con altre 97 persone, rimanere nella calca era un rischio che non voleva affatto assumersi.

«Parlato Mei» - Pensato Mei

La piega che stavano prendendo le cose perturbò il cuore di Mei, appesantendolo con due rimpianti: il primo, quello di non aver cercato di fermare fisicamente Royce;
il secondo, quello di non star muovendo nemmeno un dito per aiutarlo.

Cosa avrebbe potuto fare? Intromettersi era del tutto fuori discussione. Per quanto fosse nelle corde della ragazza aiutare non solo un innocente, ma anche una persona con la quale aveva volontariamente e consapevolmente deciso di stabilire un rapporto di collaborazione - un socio - l'ignobile verità che la inchiodava alle mattonelle era che aveva paura dello spocchioso riccone.

Che faccio? E ora che faccio!?!?


...Gli interruttori? La luce?

Pensò, tirando fuori dal cilindro che era la sua testolina la più ingenua delle trovate. Una goccia nel mare di una logica che, per essere applicata, avrebbe richiesto come prima cosa una familiarità con quel tipo di stanza e il suo livello tecnologico che lei non aveva.

"Ehi! E se la prova fosse proprio quella di fare il cappotto all'esaminatore?

Fare il cappotto. Accopparlo. Metterlo al tappeto.

O, considerando gli animi, ucciderlo.


Dillo. Dillo, e probabilmente salverai la vita di Royce. E magari anche la tua.

Perché Mei ci aveva pensato, oh sì, e ricordava bene come il numero 294 aveva visto lui, lei e Kara tutti insieme appassionatamente a stringere la canna da pesca che aveva nello zaino. L'idea che potesse venire anche per loro dopo essersi disfatto di Royce era lì già da un po'.


Allora perché non dire niente e cedere all'ignavia e all'abulia?


Per una questione di morale.
O, per i più pragmatici o cinici, per l'incapacità o il rifiuto della ragazza di assumersi la responsabilità di aver invitato al massacro, lasciandosi alle spalle un mare di cadaveri.

Con la coda tra le gambe, Mei avrebbe cercato di passare inosservata verso le retrovie, alla ricerca della salvezza.

Se avesse visto Kara tra la folla, si sarebbe fermata in prossimità di lei, pur senza addentrarsi nella calca.

Casomai i candidati avessero deciso di linciarle, probabilmente avrebbero potuto fare affidamento solo l'una sull'altra.

Oppure arrendersi.

«Parlato Mei» - Pensato Mei

Alla fine, il timore di Mei si fece realtà.
Il fatto che se lo avesse immaginato, se non addirittura sentito, non l'aiutò a prepararsi psicologicamente a ciò che sarebbe accaduto.

Dopotutto, lei non era come il tipo nelle prime file che, con una risata che si sarebbe aspettata da una iena, già pregustava la mattanza che si sarebbe di lì a poco consumata.

Né, sentendo la definitiva conferma dell'esaminatore, si sarebbe avventata sul primo malcapitato a portata: se era destino che l'istinto di sopravvivenza scattasse, la morale pudicizia e il fatto che quello fosse il primo scontro di lei dove effettivamente rischiava la vita avrebbero fatto sì che ciò sarebbe accaduto solo qualora attaccata per prima.

Quindi, quale scelta le restava?

Idealmente, quella di ritirarsi ancor più nelle retrovie. Magari avvicinarsi a Paige, con la quale condivideva, anche se non con la stessa intensità, la paura per l'immediato futuro.

Magari? "Se", piuttosto.

Perché la priorità, piuttosto che spostarsi, sarebbe stata mantenere alta la guardia ed evitare di farsi accoltellare alle spalle, o qualcosa del genere.

E il numero 300? Il compagno di chiodo?
Se fosse riuscita a raggiungere Paige, avrebbe aguzzato la vista e cercato anche lui.

«Parlato Mei» - Pensato Mei

Per sua fortuna, Mei non fu l'unica a convergere verso la ragazza dal cappello strano e dall'orecchino particolare che aveva catturato la sua attenzione durante la pre-selezione: nel tempo di pochi secondi, infatti, le due furono attorniate da Royce, Kara e anche il compagno di chiodo che tanto aveva cercato con lo sguardo.
Insieme, si disse, avrebbero tenuto botta.

Il destino, tuttavia, provvide a mutare rapidamente quel sentimento, trasformando il timido ottimismo che era appena nato in lei in orrore e sgomento, con un'intensità tale che, se non fosse stato per il repentino susseguirsi di certo eventi, avrebbe portato la mente della ragazza a cedere, in maniera non dissimile a quanto accaduto al numero 299.

Da dove cominciare a narrare l'orrore? In ordine cronologico, fu per primo l'urlo di donna a incrinare lo spirito della padokiana: un urlo di terrore, a cui fece momentaneamente da controcanto un silenzio di tomba.
Il sangue di Mei si gelò ed ella stessa impallidì nella consapevolezza che qualcuno aveva già cominciato a mietere le prime vittime.

Ma questo fu niente, rispetto a ciò che successe poco dopo.

Il secondo urlo fu maschile, e diverso.
No, non diverso.
Alieno.
Era un suono grezzo e viscerale, che la ragazza collegò a quelle volte in cui si riportava al villaggio un compaesano ferito da un cinghiale. E, nondimeno, anche quel collegamento era troppo labile per rendere bene l'entità di quell'agonia. Era, per amor di razionalizzazione, come se avesse appena sentito qualcuno essere ghermito e dilaniato da un orso.

Un orso... Oppure una spada.

La fonte di quell'urlo venne rivelata ai suoi occhi, un'omaccione un po' attempato ma in forma, il cui ventre era stato trafitto da un'enorme lama. Mei lo vide avanzare alla cieca come una formica priva di antenne, alla ricerca di qualcuno tra la folla che potesse aiutarlo, o anche solo spiegargli cosa stesse succedendo.

Sarebbe stato quello il punto di rottura - il momento in cui Mei avrebbe sentito l'acqua bevuta in treno risalirle la gola nel disperato tentativo di fuoriuscire dal cavo orale - se solo la calca non l'avesse strappata da quella visione orribile, riportandola alla realtà.

Corpi, mani, piedi e annesse calzature furono subito contro di lei, rapide e inarrestabili. Prima contro di lei, poi sopra: che subito venne travolta e schiacciata.

Mei cercò di strisciare, di aggrapparsi, di urlare i nomi di Royce e di Kara; poi, quando un sandalo le colpì la mascella, si ranicchiò istintivamente in posizione fetale e continuò a soffrire, una compressione dopo l'altra.

Quando l'ordalia ebbe fine, la ragazza aprì gli occhi e cercò discretamente di guardarsi attorno. Tra la paura e la consapevolezza di essere in pericolo, l'istinto le suggerì di restare immobile e fingersi stordita o morta, almeno per il momento.